Viva le Donne

Moda e società

“L’essere umano è per natura un animale sociale” (“O ἄνθρωπος φύσει πολιτικoν ζῷον”) così recita la celebre affermazione di Aristotele nel primo libro della sua Politica. Questa affermazione del IV sec a.c. è una tra le analisi sull’uomo più lucide ed immediate della storia, non ha tempo poiché è connaturata  alla natura dell’uomo stesso. L’essere umano infatti vive e si nutre del confronto con gli altri. Questa sua natura relazionale, politica e sociale appunto, è fondamentale e unica, nella sua originale declinazione, della specie umana. Attraverso l’altro l’uomo è in grado di sopravvivere, di fare esperienza, di sviluppare conoscenza, e di determinare la propria identità e il proprio posto nel mondo. Ma cosa c’entra la Moda? La Moda è, allo stesso modo dell’uomo, un fenomeno puramente sociale. Attraverso la moda noi comunichiamo, interpretando e dialogando attraverso segni, simboli e icone non verbali che permettono ai gruppi sociali di interagire. Se questi segni di espressione individuale sono poi condivisi allora individui e gruppi sociali si aggregano definendo e mantenendo la propria identità sociale. La Moda è un messaggio, potremmo dire il primo messaggio visivo e simbolico attraverso cui facciamo esperienza dell’altro. Ma cosa c’entra la Donna? La Moda è un un indicatore sociale, economico e culturale, ma è anche un determinatore socio-economico-culturale e in quanto tale può creare identità ma anche diversità, emancipazione ma anche discriminazione. Ecco che qui entra in gioco la Donna, da sempre purtroppo vittima di una discriminazione che da biologica è diventata poi sociale, economica e culturale. Tale discriminazione di genere è stata espressa anche attraverso la Moda ed è attraverso la Moda che la Donna ha trovato il linguaggio giusto per comunicare la necessità della sua emancipazione, per la woman’s empowerment, ed è attraverso la Moda che la Donna ha trovato la strada per la sua liberazione.

Woman’s Empowerment 

Il legame tra Moda e emancipazione femminile è infatti un legame molto stretto, e forse senza la Moda la Donna avrebbe avuto molte più difficoltà a mettere in atto quel processo di Woman’s Empowerment che ha aperto la strada a cambiamenti sociali che prima del ‘900 sarebbero stati etichettati semplicemente come impensabili e impossibili. Il modo di vestirsi e di manifestarsi è diventato infatti il modo più efficace per protestare, per scuotere le coscienze, per educare alla consapevolezza. Per troppo tempo infatti gli abiti e il modo di vestire ha rappresentato la prigione stessa delle donne. In un’epoca che possiamo a tutti gli effetti considerare moderna, ‘600-‘700-‘800, la società richiedeva alla donna di indossare busti, crinoline, pizzi e altri orpelli, rendendo impossibile la realizzazione attiva della donna in società e relegandola al rango di semplice oggetto di visibile ammirazione, oltre che danneggiarla e mortificarla così sia fisicamente che psicologicamente. Solo agli inizi del Novecento le donne hanno potuto cominciare a far sentire maggiormente la propria voce rivendicando un ruolo all’interno della società e la loro rivendicazione comincia proprio con i vestiti manifestando la necessità di avere per se stesse abiti più adatti ai tempi, abiti più comodi e più funzionali. In questo lungo cambiamento di vestiario e quindi di identità le donne sono state aiutate la maggior parte delle volte da altre donne. Stiliste, modelle, artiste, alcune donne iconiche ognuna con la propria storia ha dato il contributo per letteralmente cambiare il mondo attraverso il woman’s empowerment.

Donne iconiche per Capi iconici

Di uomini che hanno usato la Moda per liberare le donne ce ne sono stati inizialmente pochi, va ricordato però Paul Poiret, nato a Parigi nel 1879, il primo stilista moderno che ha contribuito, anche se in modo abbastanza inconsapevole, all’empowerment femminile decidendo all’inizio del ‘900 di abolire il busto, causa di grandi sofferenze e lesioni fisiche anche agli organi interni per le donne, sostituendolo con abiti ampi drappeggiati, tuniche, kimoni, pantaloni alla turca. La vera rivoluzione comincia con la grandissima Coco Chanel negli anni ’20 del novecento. Madamoiselle Coco era consapevole che la rivoluzione femminile sarebbe partita dalla Moda. Per una Donna libera sia fisicamente che mentalmente sempre consapevole del suo fascino ma desiderosa di un ruolo nella società e di indipendenza, Coco ha prima “rubato” i pantaloni dal guardaroba maschile e poi ha creato l’iconica Giacca Chanel per tutte le occasioni, accorciò le gonne e inventò anche la borsa a tracolla che finalmente permetteva di avere le mani libere. Nel 1934 fu la volta del marchio Levi’s che decise di estendere l’uso dei jeans alle donne che lavoravano in campagna e nei ranch che avevano necessariamente bisogno di un vestiario più funzionale. Nel 1946 il sarto francese Louis Réard presentò poi un altro grande capo iconico del woman’s empowerment: il bikini. Un successo planetario grazie anche alle dive come Brigitte Bardot, Ava Gardner, Sophia Loren e Marilyn Monroe che contribuirono all’incitamento dell’uso di quello che prima sarebbe sembrato un capo d’abbigliamento del tutto osceno. Nel1933 la grande tennista americana Alice Marble fu la prima e indossare sui campi da gioco un paio di pantaloncini sopra il ginocchio aprendo così la difficile via agli shorts femminili, il merito successivo spetterà alle pin up degli anni Quaranta e Cinquanta che con i loro pantaloncini aderenti e più corti sdoganarono finalmente l’uso degli shorts. Tra i vari capi iconici simboli dell’empowerment femminile la minigonna rappresenta un momento fondamentale. Era il 1963 quando stilista britannica Mary Quant espose nella sua sua boutique “Bazaar” in King’s Road i primi modelli. Da quel momento  furono le sue stesse clienti a chiederle di cucire gonne sempre più corte per muoversi più liberamente e si anche per una legittima vanità e desiderio di fascinazione. La minigonna è diventata un importantissimo simboli della lotta femminista dei decenni a venire poiché ha rappresentato più di ogni altra cosa la libertà, l’indipendenza e la capacità e il potere di scelta sul proprio corpo e sulla propria volontà. Pochi anni dopo Yves Saint Laurent decise che era venuto il momento di fare un altro grande passo realizzando nel 1966 “Le Smoking” un elegante completo da donna: come disse Pierre Bergé “Chanel ha dato alle donne la libertà, il potere”. Un altro grande passo in avanti in ormai un mondo sempre più consapevole della riduzione della diversità di genere è stato poi fatto da Giorgio Armani che verso la fine degli anni Settanta inventò la sua famosa giacca destrutturata abolendo imbottiture e cambiando spalline e la posizione dei bottoni: “Ho dato all’uomo la scioltezza e la morbidezza della donna e alla donna l’eleganza e il comfort dell’uomo” così fieramente affermò. Non possiamo non tenere presente poi altre donne fondamentali in questo processo come Naomi Campbell tra le icone di moda e bellezza più importanti di sempre che è stata la prima black woman a posare per Vogue e Times aprendo la strada al no racism all’interno della grande Moda. Infine, ma ce ne sarebbero tante altre, possiamo ringraziare Stella McCartney per aver dato un grandissimo contributo a portare al centro e a sensibilizzare sulle grandi tematiche emergenti del rispetto per gli animali e quello della sostenibilità all’interno dell’industria mondiale della moda. Insomma la Moda è Donna, la Donna è Moda e il woman empowerment passa necessariamente attraverso la Donna. Noi di Michele Franzese Moda non possiamo che ringraziare tutte queste grandi Donne e quelle che verranno e per usare le parole di Michele Franzese stesso possiamo affermare con fierezza “Viva le Donne!”